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Tra le tante emoticon in circolazione, quella in cui mi riconosco di più, è l’immagine di un palloncino rosso. Mi sento l’uomo del palloncino accanto, il vicino di casa che apprende da un gas come l’elio, la necessità di cercare leggerezza.
L’elio permette a un palloncino di alzarsi verso il cielo, si lascia aspirare per un istante, gioca con la nostra voce e strappa un sorriso anche a chi vorrebbe restare serio e composto.
Un palloncino che sceglie di chiudere un periodo, come un invito a provare comunque a guardare più in alto.
Un palloncino nei giorni più sereni della nostra infanzia, uno di quelli che ti scappa e raggiunge il soffitto. Un palloncino e chiedi aiuto a chi è più grande di te per poterlo recuperare.
Un palloncino per evitare di prendermi troppo sul serio, per trattenere quel filo sottile che mi distanzia da lui e lo protegge dalle mie unghie.
Un palloncino che si chiede chi nasconda quella mascherina e prega ogni giorno per chi abita le corsie di un ospedale.
Un palloncino che immagina il ritorno a casa delle tante anime che non siamo riusciti a trattenere, di quel filo così delicato che a volte si spezza e prende il volo prima del tempo. Un palloncino che interroga la vita e pensa, che al di là del ricordo, esista un altrove per dire ancora la nostra presenza.
Un palloncino che crede ancora che domani sarà un cortile o una piazza, per liberare la verità di un colore.
Un palloncino che la sera, qualche volta, lascia andare le lacrime e dopo una buona dormita si rialza con il desiderio di ripetere che “andrà tutto bene” e rimboccandosi le maniche, fa quel che può perché sia così.
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