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Vorrei aprire il Vangelo come un estraneo, come un lettore qualunque che legge per la prima volta quel libro e prende coscienza che da quel momento in poi non ne potrà più fare a meno.
Vorrei inoltrarmi nelle vicende di Gesù di Nazaret con lo stupore di un bambino e la freschezza di un giovane che cerca ancora le risposte alle sue domande più interiori e profonde.
Vorrei leggere con gli occhi di un anziano che contempla un passo qualunque e non rinuncia a lasciarsi interpellare da un nuovo interrogativo che affiora tra le sue rughe.
L’eccessiva familiarità sconfina facilmente nella presunzione di chi pensa di conoscere già a sufficienza e legge con distrazione e disinteresse.
Senza neanche averne coscienza si assume lo sguardo di chi ha già trovato le proprie risposte e si rinuncia alla ricerca di una nuova domanda.
Di fronte ai caratteri del Sacro Testo è sempre bene riconoscere che quel che risuona troppo familiare può allontanarci più di quanto crediamo dalla possibilità di rendere attuale la forza e la verità di quelle parole.
La voce che rappresentiamo dentro di noi può e deve acquisire un timbro differente, una modulazione sconosciuta che richiami la nostra attenzione per restituirci a una Parola che chiede di essere presente.
Là dove ti accorgi di essere ancora lontano c’è un tratto di strada da percorrere, un nuovo itinerario per essere realmente vicino.
È faticoso, a volte stressante, ma è anche una ragione che colma di meraviglia la luce del mattino.
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