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Otto giorni dopo è ancora domenica ed è ancora Pasqua.
Si possono già contare i giorni che ci separano dal 25 aprile e consumare senza troppo entusiasmo quel che resta di un uovo senza più sorprese o considerare questo tempo pasquale come un’opportunità per crescere comunitariamente.
C’è ancora un po’ di aria viziata in quel cenacolo a porte chiuse per timore dei Giudei, c’è un futuro che è ancora tutto da comprendere e c’è qualcuno che non è presente…
Si è in attesa di una parola che attesti il perdono e che dica la pace che nessuno può darsi da solo.
Una comunità condivide anche momenti dolorosi e ha bisogno di tempo, di energia e di vita per riuscire a guardare oltre, per spalancare le finestre dell’anima e ritrovare il coraggio di rialzarsi e di recuperare l’equilibrio per stare dignitosamente in piedi.
La Vita non bussa timidamente, passa attraverso il muro della nostra prigione e ci raggiunge per rivelarci che il nostro debito è stato pagato completamente. Si può andare avanti e lo si può fare accogliendo quella pace che mostra le ferite completamente rimarginate.
Una comunità riceve il dono dello Spirito e aiuterà anche l’incredulo a ritrovare l’occasione di toccare con mano la Vita che non può più morire.
Una comunità apprende l’arte di condividere e di fare quanto può, perché nessuno resti privo di ciò che è essenziale per vivere.
Una comunità può fare la differenza e misurarsi con la strada, scegliere di accompagnare dove si è soliti ignorare e di provare a raccontare con calma e umiltà la gioia di una Vita che si lascia ritrovare.
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