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Non è bella abitudine controllare il prezzo di un dono ricevuto e viaggiare col metro in tasca per verificare se sia inferiore o superiore al regalo che ha ricevuto un nostro fratello.
Nessuno di noi chiederebbe un paio di pantaloni di tre misure superiori alla propria taglia per avere un po’ di stoffa in più e forse, ogni tanto ci farebbe bene provare a camminare nei panni della persona che stiamo giudicando.
Amiamo utilizzare parole come meritocrazia, colmano la misura delle nostre lingue che battono più sul dente dell’invidia che su quello della giustizia o su quello della misericordia che duole sempre un po’ troppo.
È così fuori luogo il pensiero di un operaio che lavorando un’ora ha guadagnato la stessa paga di chi ha lavorato tutto il giorno, così fastidioso e incomprensibile. Poco importa se hai avuto la fortuna di poter lavorare senza l’ansia e la paura di dover buttare via una giornata restando in lista d’attesa.
L’altro ha lavorato solo un’ora e ha preso quanto me che mi sono dato da fare per tutto il giorno e, passa in secondo piano il fatto che la retribuzione sia stata comunque più che generosa.
Il dono ricevuto non vale un grazie, ma diventa insignificante perché a qualcuno è stato dato di più.
Fare le pulci al desiderio di donare e arrivare a colpevolizzare chi non ha fatto alcun calcolo obbedendo a una giustizia che non è di questo mondo, là dove con un po’ di onestà ci sarebbe solo gioia e riconoscenza.
Siamo causa della nostra tristezza e non riusciamo a comprendere un Dio che dà con grande generosità e con la precisione di un sarto, ha confezionato un abito che calza a pennello per te e per chi ti sta a fianco.
Più sei abituato a mettere sulla bilancia il dono ricevuto e meno potrai capire chi dona senza alcuna misura.
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