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La scena del giudizio nel Vangelo di Matteo è di una semplicità disarmante e diventa davvero difficile non comprendere immediatamente i criteri che Gesù utilizza per separare le pecore dalle capre. La bontà o la cattiveria di una vita si gioca nel riconoscimento del fratello a cui manca qualcosa di essenziale per poter vivere dignitosamente.
La carità autentica e l’egoismo più profondo sono nettamente distinti dalla verità di come abbiamo saputo relazionarci nei confronti di chi abbiamo incontrato nella situazione del bisogno.
Il maestro sceglie d’identificarsi con chi ha sete e fame, con chi è nudo, con il malato, con lo straniero e il carcerato
Quello che mi sorprende è quel “quando?” ripetuto più volte da ambedue i gruppi…
Né le pecore né le capre sembrano avere il ricordo di quando lo hanno incontrato eppure, sono proprio quei frammenti di vita ad aver fatto la differenza.
C’è una fede reale che ci abita dentro e non è fatta di concetti astratti, ma di gesti concreti che rivelano la volontà di donare o l’assenza di empatia.
Il povero difficilmente richiama alla mente e al cuore la presenza di Dio: a volte è poco educato e talvolta indossa abiti maleodoranti.
Il forestiero risveglia l’ansia e la paura di tutto ciò che non conosciamo.
Il malato può essere poco paziente e disponibile.
Il carcerato ha una lista di crimini che certamente rendono Dio poco riconoscibile.
La risposta che diamo ogni giorno a chi incontriamo casualmente sulla nostra strada manifesta chiaramente quello che realmente siamo a telecamere spente.
Poco importa se non ricordiamo quando, quello che realmente conta è come abbiamo scelto di rispondere.
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