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Lo direi con più facilità se non si pronunciasse così spesso, se non corresse il rischio di essere banalizzato, se l’enfasi con cui viene detto fosse almeno vagamente somigliante all’impegno e la volontà che richiede per essere autentico…
La parola più importante si lascia andare un po’ ovunque e a volte si accompagna a un “per sempre” che potrebbe essere contraddetto in un tempo assai breve.
Gesù la sottolinea come il più importate tra i comandamenti, ma ha dalla sua una passione e una croce che non permettono alcun fraintendimento.
Gesù considera la premessa tutt’altro che scontata di considerare in primo luogo il riferimento nei confronti di Dio, ma la nostra attualità si concentra, anche troppo, nei riguardi del fratello.
Se non hai un riferimento più elevato quello che chiami amore finisce con l’essere venduto e acquistato, posto sulla bilancia per essere pesato o confuso con la prima emozione di passaggio.
Se non alzi lo sguardo difficilmente riuscirai a distinguere quello che fai per il bene degli altri e a leggere tra le righe quel tuo personale tornaconto.
Se devo amare mio fratello come me stesso è necessario che io faccia esperienza di Qualcuno che mi voglia davvero bene.
Se scegli di misurarti solo con l’umana mediocrità come potrai considerare l’esistenza della perfezione?
La simulazione della Carità è figlia di un Dio taciuto o dato per scontato e va cercando l’appagamento della propria immagine, il consenso degli spettatori e la pia illusione di crogiolarsi in un bene presunto.
Il bene che nasce dall’incontro con Dio non cade nella tentazione di autocelebrarsi e continua a essere interessato e attratto dall’idea di poter fare meglio e di più.
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