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Siamo dentro alla tempesta, ma i lampi e i fulmini più pericolosi non sono quelli che tuonano all'esterno o che si osservano a una certa distanza. L'impeto del vento che risuona dentro assume le forme dell'ansia, dell'angoscia, della paura e anche del terrore.
Siamo dentro alla tempesta e qualcosa d'infinitamente piccolo ci sta ricordando che il presunto controllo delle nostre vite è più un'illusione che un dato reale.
Siamo dentro a una tempesta che esisterà anche quando tutto sarà finito, perché la vita è da sempre in pericolo e continuerà a essere fragile, limitata e con una data di scadenza imprevedibile.
Possiamo attendere l'oracolo del virologo di turno, affidarci a diete miracolose, imbottirci di vitamine, cercare un medico santone o credere alla scienza come moderna divinità, ma nessuno ci potrà mai dire che a noi non è dato morire.
Non lo dice neanche la fede: Gesù non ha mai raccontato che possiamo evitare la morte.
La tempesta fuori di noi si è arricchita di un virus, ma dentro di noi si è agitato un mare che rifiuta di accettare l'idea che i nostri giorni siano comunque contati. È a quel mare che il figlio dell'uomo suggerisce la calma e il silenzio.
Il silenzio è la condizione indispensabile per accorgersi che anche la vita ha le sue "varianti" e dove tutto sembra finire, c'è un nuovo inizio a cui andare incontro.
La calma è l'atteggiamento di chi guarda con serenità agli innumerevoli rischi che abbiamo di fronte ogni giorno, senza rinunciare a vivere.
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