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Non è sufficiente l'atto del respirare per sentirsi ed essere realmente vivi.
Il profugo affronta il mare e mette a rischio i propri giorni e spesso, anche quelli della moglie e dei propri figli, perché continua a sognare un tempo degno di essere vissuto.
Il pompiere affronta il fuoco e quando c'è una casa che brucia, mette a rischio la propria vita per salvare quella di chi è in pericolo in quel momento.
Molti medici sono morti per restituire la salute a delle persone di cui ignoravano anche il nome.
Non tutti possono vivere nel segno della protezione e della sicurezza assoluta: nel mondo dei vivi la morte non è un'ipotesi, ma una certezza.
L'atto di vivere è sempre un'esporsi a un pericolo e tuttavia scegliamo di affrontare un numero imprecisato di rischi, ogni giorno.
Usciamo di casa e una tegola qualunque potrebbe colpirci. Prendiamo un'automobile e un incidente potrebbe essere dietro l'angolo. Ritiriamo l'esito delle nostre analisi e quei fogli di carta, potrebbero cambiare completamente i nostri progetti.
Gesù sa bene a cosa sta andando incontro, lo dice a chiare lettere ai discepoli, ricordando loro la realtà di un seme che deve morire per generare la vita.
Il dono della sua Vita vale la nostra salvezza e a chi decide di seguirlo, ricorda che a volte è necessario amare un po' meno sé stessi e scegliere il sacrificio per il bene degli altri.
Non si può rinunciare sempre e comunque a qualsiasi rischio, perché rinunciare al dono di sé è dimenticare il senso più profondo delle nostre vite.
Vivere accentando la condizione del nostro limite è aggiungere un senso a ogni nostro respiro.
Vivere riconoscendo l'autore dei nostri giorni è affidarsi a colui che conduce la danza dei secoli a un istante eterno.
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