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Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome»
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
E quando il muto riprende la parola, il suo alfabeto è essenziale e la voce del silenzio si fa sentire chiara e inequivocabile. Tutte quelle tradizioni, quel ripetersi di usi e costumi, quelle parole già scritte, per quanto utili, devono cedere il posto alla novità che Dio sceglie di scrivere. Giovanni è il suo nome perché quel bambino è un dono che viene dall'alto e ha il compito di essere la linea di confine tra ciò che è già stato e il mistero di ciò che si compie.
È un "presente" comunicativo, tre punti di sospensione prima di un futuro antico e del tutto inaspettato.
Come bambini cresciuti e ancora impegnati nel vecchio gioco del silenzio; non per trattenere le parole, ma per sceglierle con cura e rispetto, per ritrovarle intatte, dove quel che si dice, potrà essere anche quel che si fa.
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