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L’autunno delle foglie è una ferita che abbandona l’albero e si lascia cullare da un vento leggero prima di accarezzare la terra. Forse hanno memoria di un germoglio primaverile e nelle nervature rinsecchite coltivano i ricordi della loro estate: “Siamo state albero anche noi, ci siamo nutrite di sole e abbiamo ringraziato per il dono di una pioggia inaspettata e tanto attesa”.
L’autunno delle foglie muore con dignità, senza per questo dimenticare il piacere e la fatica di essere state ombra e riparo, rifugio per la ghiandaia e nido per il passero.
Ci sono giorni in cui cammino con passo leggero, mi lascio catturare dal giallo, dal rosso e dall’arancio; chiudo gli occhi e cerco di ascoltare quel che vorrebbero dirmi. Le interrogo e chiedo loro se c’è speranza che io apprenda la dignità del loro morire.
Mio Dio, sono così belle e tu non negherai loro di essere ancora albero, di sentirsi parte di quella vita che scorre e riveste ogni singolo ramo di piccole storie che hanno ancora il desiderio di raccontarsi.
Alcune sono state staccate senza alcuna ragione; per noia, per rabbia o per gioco. C’è chi calpesta senza alcuna coscienza, chi recide per invidia e chi distrugge per sentirsi potente.
L’autunno delle foglie è una lettera depositata sulla terra, un messaggio che racconta con semplicità la vita e la morte che più non sappiamo accogliere.
Un giorno andremo a respirare altrove e quel giorno può essere tra poche ore o tra mezzo secolo, ma quanto sarà importante aver appreso la lezione.
Non è uno sciocco chi si è lasciato cogliere, non è uno stupido chi si è fatto casa per il forestiero e non è un’idiota chi si è bruciato scegliendo di fare ombra.
Qualcuno ha scelto di appartenere a una realtà più grande e più vera: ha rinunciato al triste ballo di chi si risolve tra proprietà e onorificenze e ha chiuso gli occhi per respirare altrove.
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