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Chi ama il potere degli uomini non riuscirà mai a comprendere una liturgia come quella che la Chiesa celebra la Domenica delle Palme. Quell’agitarsi di uomini, palme e ulivi che sembrano l’epilogo di una grande conquista, di un successo clamoroso, di un’indiscutibile popolarità e, subito dopo, una rapida sequenza di avvenimenti inspiegabili che conducono Gesù a morire come un malfattore sulla croce.
Nei pensieri del potente, quel tragico secondo atto non ha alcun senso, non conosce ragione e andrebbe eliminato da una storia che avrebbe dovuto raggiungere un lieto fine senza sofferenza, passione e morte.
I grandi della terra si accontentano di prendere tutto quello che è possibile dai giorni contati delle loro vite e difendono con ogni arma a disposizione la posizione che hanno raggiunto: una salvezza immanente, priva di un qualsiasi cielo, è tutto quello a cui possono ambire.
Dove la Gloria è vera la regalità non teme le spine della corona o il legno della croce, perché la volontà è quella di servire sino alla fine e di scrivere la parola Salvezza oltre la polvere del breve transito su questa terra.
Dove la Gloria è vera la Vita accetta di morire con la consapevolezza che il tempio del proprio corpo sarà ricostruito nell’arco di tre giorni.
Dove la Gloria è vera l’eternità non è più un concetto astratto, ma la realizzazione piena totale e definitiva del progetto di Dio che libera l’uomo dalle catene della colpa e lo restituisce alla pienezza della propria libertà.
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