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Avvenne che, mentre Zaccarìa svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l'offerta dell'incenso. (...)
Apparve a lui un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. Quando lo vide, Zaccarìa si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccarìa, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Giovanni.
Ci vuole tanto silenzio per ritrovare una voce che abbia qualcosa di nuovo da dire. L'eccessiva moltiplicazione delle parole riempe gli spazi di un cruciverba in cui tutto è incasellato, ma dietro l'ordine apparente c'è un percorso obbligato che nega l'accesso alla creatività.
La televisione alza i toni per ripetere sempre le stesse cose e si dibatte tra un mantra sanitario e un verbo economico.
I social rispondono alla nostra esigenza di cinque minuti di protagonismo, ma l'analisi dei contenuti, se fatta con un po' di onestà vive più di umori che di concetti.
Non sarebbe male subire il silenzio a cui è costretto Zaccaria, per tornare a frequentare le stanze della nostra anima e restituire criteri d'interpretazione a una vita sempre più in balia della Babele a cui assistiamo inermi e indifesi.
Zaccaria ritrova un nome che presto sarà Voce che grida nel deserto.
E noi tutti, potremmo riscoprire contenuti addormentati, parole anestetizzate e rinunciare agli stereotipi di un mondo che si parla addosso senza trovare lo spessore e la grazia di una voce autorevole.
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