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E dire Padre, ripeterlo più volte sino a considerare il volto del fratello.
Dire Padre senza la presunzione di chi si considera figlio unico, dirlo con una preghiera che non escluda nessuno e con un’intenzione pura e semplice, che alzando lo sguardo verso il cielo si abbandoni al desiderio di essere in relazione.
Padre, come un nome proprio, come una verità assoluta, come tutto l’amore che può contenere un giorno vissuto da figlio di Dio.
Padre, come la santità che cura la fragilità di una mente, la malattia di un corpo e le ferite dell’anima.
Padre che dona uno sguardo per riconoscere la presenza del Regno, Padre di un segno che suggerisce il passo che dobbiamo ancora compiere e Padre, come rifugio e protezione quando la gioia della solitudine diventa il freddo di ogni isolamento.
Padre come l’origine, la Parola prima che le parole fossero, l’idea prima ancora d’essere uomo.
Padre che non nega la semplicità di un pane che serve per sopravvivere e il mistero di un Pane per chi vuole scoprire il senso stesso di tutto questo tempo che per dono, è nostro.
Padre che offre ripetutamente quel perdono che rende possibile un altro domani e quando la riconciliazione sceglie di essere accolta autenticamente, anche un figlio non può che trovare la forza e il coraggio di passare oltre.
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