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Ho dato, ho preso, ho restituito, sono in debito o in credito e non c'è nulla da pesare...
Non faccio conti con Dio, non ho la presunzione di chiedergli ragione delle diseguaglianze e delle ingiustizie di cui posso sentirmi solo relativamente innocente.
La legge regola la nostra vita su questa terra, ma non è sufficiente per costruire un rapporto autentico con Dio.
Sino a che punto devo perdonare?
Ho donato a sufficienza?
Ho fatto tutto quello che potevo?
Vorremmo numeri e codici da inserire in caselle che attestino la regolarità delle nostre vite.
Vorremmo confini precisi, paletti riconoscibili per decidere sino a che punto possiamo andare, limiti per definire il perimetro delle nostre azioni.
Rispolverando il catechismo, potremmo accontentarci dei comandamenti eppure, almeno personalmente, mi accorgo dell'esistenza di un oltre che non posso ignorare.
Nel compimento della legge c'è molto di più; c'è un'intelligenza che chiede di essere messa in pratica, c'è una sensibilità che si affina, c'è un cuore che non trova pace attenendosi ala rigidità di una regola.
Nel compimento della legge la vita non può essere interpretata solo come una partita doppia e l'equilibrio tra quel che ho fatto e quel che avrei potuto fare, risulta sempre precario.
Nel compimento della legge c'è un rapporto con Dio e con i fratelli che non si risolve con una bilancia di precisione, c'è un universo di significati che di volta in volta, chiamano in causa la nostra coscienza.
E non c'è niente da pesare.
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