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C'è un uomo da guardare e non puoi vederlo se il tuo sguardo si perde tra i segni della malattia. E vai cercando una sua responsabilità, una fragilità che giustifichi la sua condizione o una colpa per sentirti libero di tracciare una linea di confine che non possa oltrepassare in alcun modo.
Il deserto, l'isolamento o la triste compagnia di chi versa nella medesima condizione per allontanare la profonda inquietudine di poterti ritrovare dove la salute diventa un miraggio.
Siamo così lontani dal triste gioco di chi abita la terra dei puri e non ne vuole sapere di entrare in contatto con tutto ciò che può corrompere un corpo?
Siamo diventati così sensibili e abbiamo appreso l'arte di non contaminare le nostre emozioni con pensieri e visite che potrebbero rovinarci la giornata.
Liquidiamo la morte il più velocemente possibile e abbiamo fretta di girare pagina, di elaborare il lutto in pochi giorni, come se pensare un attimo in più alla vita che finisce potesse accorciare i nostri giorni.
Quanto è difficile conciliare un Vangelo che si lascia incontrare dalla malattia e abbandonando la vecchia concezione di puro e impuro rende possibile ciò che la Legge avrebbe proibito.
Bisogna saper leggere la vita anche quando si nasconde e gioire di un uomo che non avrebbe potuto guarire senza uno sguardo profondo e un tocco da maestro.
Quell'uomo che non riesce a tacere il nome della propria guarigione è una sfida da raccogliere per vincere la paura e imparare a distinguere un malato dalla sua malattia
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