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Ripeto spesso a me stesso di restare fermo, di non buttarmi all’inseguimento di un’emozione di passaggio o di uno dei tanti pensieri ossessivi che seminano il panico nell’anticamera della mia coscienza.
Se resto in superficie le priorità si esprimono in un mondo di cifre, di appuntamenti lavorativi, della percezione di essere sempre e comunque in ritardo.
Se considero il mio tempo come le pagine di un’agenda che si riempie delle altrui attese e pretese, non riuscirò mai a trovare una sola pagina bianca.
Se faccio il giro del mondo intorno a me stesso, dopo aver messo piede ovunque, non avrò la minima idea di dove sono stato.
Posso celebrare l’Eucaristia, leggere il breviario, meditare i misteri del rosario e ritrovarmi nei panni di un turista spirituale che ha scattato una serie di fotografie pronte a occupare la memoria di un telefono e a fare i conti subito dopo, con l’assenza di un’immagine che abbia modificato di una sola virgola l’anima.
La fede ha bisogno di quiete, di coraggio e di verità.
Dare tempo al tempo per liberarsi dalle troppe voci accumulate in un qualunque giorno, liberarsi con calma da tutto ciò che distrae e allontana dal desiderio di ascoltare.
Deporre lo sguardo che osserva tutto ciò che è esteriore e scegliere con coraggio di osservare quel che ci capita dentro.
Lasciare che la Parola dissipi le ombre e le tenebre delle nostre finzioni per accogliere la verità che libera, guarisce e salva.
Pregare con insistenza è entrare nel cuore di ogni cosa, è cercare uno sguardo che possa godere della compagnia di Dio, è abilitare la coscienza in ogni direzione di una giornata qualunque.
La preghiera che si apre e chiude come un libro non sarà mai sufficiente.
La fede che si accende solo per qualche istante tra i banchi di una chiesa, per crescere, necessita di frequentare con una certa costanza il resto della vita.
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