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Non ho tutta questa fretta di tornare alla vita di qualche mese fa.
Non è che mi sia assuefatto alle frequenti abluzioni, alle opere di igienizzazione delle mani o al rituale d’indossare e togliere una mascherina, ma c’è molto di più in questo tempo che chiede di essere ritrovato e compreso, là dove suggerisce una profonda conversione della mente e del cuore.
Prima di optare per la chiusura delle scuole e di tutto il resto, abbiamo scelto di aspettare, perché la parola mercato, almeno per una settimana, sembrava più preziosa della vita stessa. Un po’ in tutto il mondo, il ragionamento è sempre stato lo stesso, poi, la legge dei numeri e il peso delle vite che abbiamo perso per strada, hanno imposto uno schema differente.
Ho visto persone che reputavo incredibilmente razionali, al capolinea della ragione, lasciarsi andare a moti di ansia e di angoscia. Dirette facebook, comunicati di ogni genere, movide confinate sui balconi, arcobaleni a volontà e tutte le paure che abitualmente, abbiamo perso la capacità di raccontare a noi stessi.
Non è che dopo il coronavirus, la vita smetterà di essere precaria: siamo e saremo sempre appesi a un filo e non c’è sicurezza sociale, economica o politica che possa garantirci il prossimo respiro.
Fare pace con la propria fragilità umana, frequentare il dolore, non fuggire dall’idea stessa della morte e del morire, fanno parte dell’esperienza di questa terra e appartengono a una visione realistica della vita.
Abbiamo spesso simulato una vita che taceva e ignorava i propri limiti, chissà se quando torneremo a uscire, sapremo far tesoro di quello che abbiamo vissuto.
Ho visto solidarietà e affetto da parte di persone abitualmente concentrate su se stesse, sorrisi che cercavano di essere più espressivi, carezze trattenute per amore dell’altro e desideri che hanno abbandonato i consigli per gli acquisti per tornare a scegliere quello di cui hanno realmente bisogno.
Vorrei non dimenticassimo i desideri che abitiamo oggi, sono quelli di cui questo mondo ha bisogno per rinascere e non per ripartire.
Ho visto cieli puliti, strade non intasate da un insopportabile traffico, ho sentito il profumo di cibi preparati con cura e ascoltato il canto degli uccelli a inizio primavera. Certo, mancava il chiacchiericcio delle persone, ma non ho avvertito alcuna nostalgia dei clacson o delle risposte che alzavano il dito medio.
Ho passato tanto tempo con me stesso e mi sono ritrovato.
Ho visto famiglie affrontare il problema di tornare a mettersi a tavola insieme, cercare parole meno sbrigative e riscoprire la profondità dei propri affetti.
Tra un po’ di tempo potremo ritornare alla vita di sempre (forse) o potremo scegliere di cambiare in meglio le nostre vite.
Potremo riconciliarci con la terra che abitiamo e provare a rispettarla o continuare la nostra guerra quotidiana.
Potremo scegliere un’economia che tuteli il più debole o continuare il gioco del mercato che arricchisce chi è già ricco e rende misero il povero.
Potremo accontentarci di una religione rassicurante o abbracciare una fede in Dio che non sia solo abitudine.
Quel che temo di più, è ritrovarmi a vivere in un mondo che dimentichi in fretta quanto accaduto e cerchi rifugio in un’apericena, in una coda per acquistare l’ultimo gioiello tecnologico o nella prossima campagna elettorale.
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