21/1/09, 20:54
Programmazione dal 23 gennaio al 4 febbraio 2009

" ITALIANS"
Regia di Giovanni Veronesi con C. Verdone, S. Castellitto e R. Scamarcio
genere: commedia
durata h. 1,55
orari spettacoli:
feriali: 20,10 - 22,30
sabato 17,50 - 20,10 - 22,30
domenica : 15,30 - 17,50 - 20,10 - 22,30
Vizi e virtù degli italiani all'estero, capaci di essere ridicoli ma anche geniali, vengono raccontati in due episodi. Le vicende di Castellitto-Scamarcio sono ambientate nei paesi arabi mentre Verdone agirà a San Pietroburgo.
Trailer
http://www.mymovies.it/trailer/?id=49562
venerdì 30 gennaio ANTEPRIMA NAZIONALE del film " TI AMERO' SEMPRE"

Un film di Philippe Claudel. Con Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Laurent Grevill, Frédéric Pierrot.
Titolo originale Il y a longtemps que je t'aime. Drammatico, durata 155 min. - Francia 2008. - Mikado data uscita 06/02/2009.
Sono 15 anni che Juliette non ha alcun contatto con la sua famiglia che l'ha ripudiata dopo la condanna per omicidio. Uscita finalmente di prigione viene ospitata dalla sorella minore Léa che vive a Nancy con il marito, le due bambine adottive e il suocero malato, e con la quale Juliette ha sempre avuto un rapporto molto bello. Il ritorno alla vita però non è facile, tutti le fanno domande sul suo passato e tentano di capire il perché di quel gesto orribile, ma Juliette ha costruito un muro troppo alto intorno a sé e niente sembra più scalfirla. L'affetto di sua sorella e delle sue nipotine la riporterà lentamente a contatto con la realtà e con un mondo che per troppo tempo è andato avanti benissimo anche senza di lei. Il dilemma rimane, come può una donna così dolce e premurosa aver commesso un reato così orribile?
Trailer
http://www.mymovies.it/trailer/?id=55837
Lunedì 26 gennaio per la rassegna verrà proiettato il film "UN BACIO ROMANTICO"

Un film di Wong Kar-wai. Con Norah Jones, Jude Law, David Strathairn, Natalie Portman, Rachel Weisz.
Titolo originale My Blueberry Nights. Sentimentale, durata 111 min. - Francia, Cina, Hong Kong 2007. - Bim data uscita 28/03/2008
Elizabeth rompe con un compagno con cui è stata a lungo e si confida con Jeremy, il proprietario di un caffè che se ne innamora. Ma la ragazza lascia New York per un viaggio le cui tappe sono scandite dalla ricerca di un lavoro, il desiderio di poter acquistare un'auto e il bisogno di curare le ferite interiori. Incontrerà storie di individui che la faranno crescere e la porteranno a uno sguardo nuovo sul mondo. Forse più libero o forse ancor più legato a qualcuno e quindi positivamente 'libero'.
Trailer
http://www.mymovies.it/trailer/?id=46876
Rassegna curata da:

Cinema Nuovo Splendor
di Garetti Marie Christine & C. s.n.c.
Via C. Vassallo 2
14100 Asti
tel./fax 0141/538318
3 commenti
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21/1/09, 18:48

Cast: Alberto Amarilla, Álex Angulo, Francesco Carnelutti, Geraldine Chaplin, Oona Chaplin, Leticia Dolera, Jun Ichikawa, Lorenzo Pedrotti, Alberto Amarilla, Silvia De Santis, Kenji Kohashi
Regia: Stefano Bessoni
Nel 1600 uno scienziato e occultista di nome Fumagalli diede il nome di Thanatografia ad una nuova tecnica che consisteva nell’impressionare su una pellicola l’ultima immagine vista dagli occhi di un defunto un istante prima della sua morte.
Lo stesso rituale viene commesso ai giorni nostri in una prestigiosa scuola di cinematografia. Chi scopre il mistero, nascosto tra le mura della scuola, sono due giovani studenti: Bruno (Alberto Amarilla) e Arianna (Oona Chaplin). Il ragazzo è un aspirante regista, molto timido e introverso, orfano di entrambi i genitori che lavora di notte all’archivio scolastico per pagare la costosa retta della scuola; la ragazza, molto solare, è l’unica persona all’interno della scuola con cui Bruno ha un buon rapporto.
Ad interrompere la tranquillità scandita dagli esami di fine anno e dai diversi impegni scolastici sono le notti di Bruno, trascorse all’archivio, che mettono a dura prova la sua lucidità; infatti, il ragazzo comincia ad avere delle allucinazioni tra cui quella di un giovane insanguinato che sembra volerlo guidare nella scoperta di qualcosa. E’ con l’aiuto di Arianna che Bruno riesce a ricomporre le sconvolgenti verità riguardanti il vecchio istituto e gli strani personaggi che lo popolano.
Il regista del film è Stefano Bissoni che, attraverso l’escamotage della Thanatografia, ci presenta una straordinaria storia dal sapore gotico immersa in un’atmosfera sospesa e inquietante. A livello della costruzione scenica alcune scelte sembrano troppo prevedibili e spesso rallentano la tensione che si cerca di accumulare nello spettatore. Ci troviamo di fronte ad un racconto con l’anima del thriller e con una sorprendente originalità visiva che crea atmosfere che in un film italiano era da molto che non si vedevano.
Stefano Bessoni è un vero artista dell'immagine e in questo film, con molta raffinatezza, manipola spazi e tempi cinematografici trasmettendo magnifiche suggestioni con fotografia e suono.
Josephine
19/1/09, 22:24

Si tratta di un saggio che ha qualche anno, 8 dalla sua prima edizione, ma credo ancora attualissimo e di sicuro interesse.
Come tutti i libri di Messori, almeno quelli che ho letto io, anche questo si inizia a leggere con una curiosità dettata più dal titolo che dalle parole con cui esordisce nelle prime pagine.
E' un'attenta analisi di tutte le teorie che tendono a screditare il racconto della risurrezione di Gesù.
E' notevole come l'autore - pur servendosi fin troppo sovente di abbondanti citazioni, tanto da aver indotto alcuni critici ad affermare che è fin troppo facile scivere libri con i libri altrui - riesca con la ragione a dimostrare che l'evento della risurrezione non solo non è impossibile dal punto di vista storico, ma al contrario, tra tutte le tesi possibili, è la più credibile anche da chi non ammetta la fede, quando la ragione venga usata senza pregiudizi. Si invita a riflettere su vari argomenti.
Pietro, ad esempio quando è stato avvertito dalla Maddalena non le ha creduto, ha avuto bisogno di accertarsi egli stesso; Tommaso non ha creduto agli altri apostoli e solo quando ha visto e toccato ha creduto; eppure gli apostoli partono da questi racconti per dire alla gente "credete dunque, senza vedere". Se davvero queste persone fossero state degli impostori, avrebbero sicuramente scelto argomenti più convincenti per trasmettere la loro convinzione.
Si analizza anche la corrente che vorrebbe un Gesù morto molto vecchio in Kashmir, tolto semimorto dalla croce e rianimato con una pozione magica, del quale esisterebbe ancora la tomba visitabile da chiunque; teoria elaborata dal movimento settario islamico degli Ahmadis, e poi raccolta da Andreas Faber-Kaiser in un libro dal titolo "Gesù visse e morì in Kashmir". Si dimostra come anche questa stravagante teoria, pur ammettendo di partire da tabula rasa, si bruci da sola nella sua romanziera antistoricità, nata e cresciuta sulla bocca di vari "si dice, si dice che.." e, soprattutto mantenuta orgogliosamente vitale dalla presunta famiglia discendente di Gesù che ha i diritti economici sulle visite al monumento tombale.
Si calcolano con estrema precisione tutti i percorsi che erano percorribili nel giorno di sabato dal popolo ebreo, per poter scartare le varie ipotesi di inattendibilità storica dovuta al fatto che un ebreo non avrebbe potuto percorrere le distanze necessarie per andare al Calvario, o dal Tempio alla fortezza Antonia (residenza di Pilato). I duemila cubiti concessi, per un totale di poco più di un km. mettevano al sicuro nel rispetto della legge questi spostamenti, e per altro le guardie che si recavano al sepolcro, avrebbero pernottato lì, quindi sarebbero state responsabili della metà del percorso, ed il loro "lavoro" non era vietato nel giorno di sabato al pari di quello dei pastori che potevano pascolare le loro greggi.
Si riflette su quel "vide e credette" di Giovanni e aiutandosi con la traduzione offerta da Don Persili, che studiò per tutta la vita le varie traduzioni possibili di questi e alcuni altri versetti, si arriva a ipotizzare - pare che tale ipotesi oggi sia tenuta in seria considerazione in tutti gli ambienti teologici - che le "bende" che vide Giovanni altro non erano che le fasce che avvolgevano il telo sindonico floscio per la mancanza all'interno del cadavere, rimaste immobili, cioè non sciolte, e che il sudario sul volto fosse come inamidato conservando le forme, mancanti ora, del viso che prima avvolgeva. Insomma tutto rimasto immobile in una posizione che non sarebbe stata possibile se un cadavere da lì fosse uscito, e non semplicemente scomparso; ogni movimento avrebbe rimosso la situazione precedente alterandone la posizione delle bende e del sudario. Ecco come il "vide e credette" diventa spiegato e comprensibile.
Tutto il libro, tende a dimostrare, che la risurrezione di Gesù non ha soltanto valore simbolico e di fede (come purtroppo a volte viene sostenuto anche in ambienti cattolici), ma anche valore storico ed è esattamente questo che gli apostoli testimoniavano, non certo un midrash (racconto edificante a valore simbolico) che tende ad identificare la risurrezione con "lo spirito di Gesù, il messaggio di Gesù sono eterni e immortali", ma uno "scandaloso" Gesù risorto in carne ed ossa.
"Guarda le mie mani" come il progetto discografico di Claudia Koll con Famiglia Cristiana
Recensione a cura di Ruè
2 commenti
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14/1/09, 17:53

Autore: DAOUD HARI
Titolo: IL TRADUTTORE DEL SILENZIO
Editore: PIEMME
Anno: 2008
Questo libro è il racconto della guerra nel Darfur, una regione del Sudan, vissuta e narrata in prima persona dall’autore, nato e cresciuto proprio in quella terra martoriata.
Due etnie, quella araba e quella africana indigena degli Zaghawa, che per migliaia di anni avevano vissuto fianco a fianco e pacificamente condividendo religione, tradizioni, e stringendo legami di amicizia fraterna all’interno degli stessi villaggi, si trovano ora istigate all’intolleranza e alla guerra reciproca.
Un “genocidio complesso”, come lo definisce lo stesso autore, in cui, come sempre, sono gli enormi interessi economici (petrolio, acqua) a generare una violenza feroce scatenando fratello contro fratello. Genocidio che si stima abbia già sterminato oltre un milione di persone, uomini, donne e bambini, in modo orribile e sistematico. Senza contare, oltre ai morti, i più di quattro milioni di altre vittime: i profughi nei campi esterni, i profughi interni (quelli che non riescono a lasciare il paese ma che devono vivere spostandosi continuamente per non essere trovati e uccisi), e le vittime degli stupri di massa praticati puntualmente dopo gli attacchi ai villaggi, donne, ragazze e bambine condannate a sopravvivere con la vita e la dignità spezzate per sempre.
In nome della supremazia araba propagandata dalla dittatura, e sotto l’ombra inquietante di Osama Bin Laden e della Cina, si ripete, come in Ruanda, l’incubo dell’olocausto nazista. Le vittime da immolare, questa volta, sono gli Zaghawa.
Il traduttore del silenzio è un libro che parla inevitabilmente di morte e di dolore. Ma anche di speranza.
Vi si trovano colori, sapori, profumi di una vita che, nonostante tutto, trova la forza per andare avanti, e non perde la voglia di veder tornare i campi a rifiorire, i fiumi a scorrere, gli uccelli a cantare.
Daoud, nato in un villaggio dove le case sono capanne di fango con il tetto d’ erba, in seguito ai primi episodi di violenza scoppiati nel villaggio che lo vedono coinvolto in prima persona, viene mandato dal padre a studiare in una città lontana. Farà ritorno solo da adulto, dopo una serie di esperienze drammatiche e giusto in tempo per assistere alla distruzione del mondo in cui è nato e cresciuto, affetti compresi. La lingua inglese imparata a scuola gli si rivelerà allora provvidenziale, salvandogli la vita e permettendogli di salvare quella della sua gente in diverse occasioni.
Andando incontro al suo destino, Daoud diventerà prima guida e poi traduttore per gli ancora troppo pochi giornalisti e esponenti di varie organizzazioni umanitarie internazionali interessati a denunciare al mondo il terribile genocidio, in corso tutt’ora, in Darfur.
L’autore, con scrittura leggera, a tratti quasi infantile, ma proprio per questo ancora più toccante, prende letteralmente per mano il lettore, coinvolgendolo in un dialogo continuo e accompagnandolo, proprio come fa una guida, dalla prima all’ultima pagina. Nel corso di questo lungo viaggio, c’è tutto il tempo per lasciarsi andare ai ricordi, con scene di un’infanzia felice, pur con la fatica del lavoro quotidiano. Felice, perché a stretto contatto con una natura generosa e amichevole.
Seguendo Daoud, si incontrano gli sfollati in fuga dalla distruzione e dall’orrore, anziani e bambini che aspettano senza altra scelta l’attacco imminente e decisivo che li cancellerà insieme al loro villaggio; si entra nelle disastrate tende dei campi profughi e si incontrano tante persone indimenticabili che raccontano la loro storia con l’urgenza di chi sa che sta per morire, con gli sguardi di chi non ha più né forza né lacrime per piangere, con le ultime parole di chi è consapevole che se ci sarà chi avrà la forza di tradurre il silenzio forse anche morire non sarà poi stato del tutto inutile.
L’autore, a causa del suo operato nel tentativo di riscattare il suo popolo, ha visto sterminare la sua gente e ha sfiorato spesso la morte, subendo torture e carcere duro, prima di diventare pochi mesi fa un rifugiato politico in USA. Ciononostante continua a considerare i suoi persecutori arabi come “parte della sua famiglia”, perlopiù una massa di giovani disperati che lui spera di vedere risvegliarsi dal sonno della ragione prodotto dalla dittatura feroce, per comprendere finalmente che “siamo tutti esseri umani, siamo tutti fratelli”.
Il libro termina con un appello, in nome dell’amicizia che inevitabilmente verrà a crearsi tra autore e lettore. Un appello che può e deve essere accolto e rimandato in circolo, in un modo qualsiasi.
E questa recensione vuole essere, in un certo senso, uno di questi “modi qualsiasi”.
Chi ha amato Il cacciatore di aquiloni non potrà fare a meno di amare anche Il traduttore del silenzio e forse anche di comprarne almeno un’altra copia da regalare a qualcuno cui tiene in modo speciale.
Un consiglio per chi non ha chiara la situazione che ha sprofondato il Darfur nella devastazione in cui si trova: iniziare la lettura del libro dall’Appendice di pagina 199.
cioccoSte
13/1/09, 21:28

Un matrimonio all'inglese
(Easy Virtue)
Un film di Stephan Elliott. Con Jessica Biel, Colin Firth, Kristin Scott Thomas, Ben Barnes, Kimberley Nixon, Katherine Parkinson, Kris Marshall, Christian Brassington, Charlotte Riley, Jim McManus, Pip Torrens, Georgie Glen, Laurence Richardson. Genere Commedia, colore 96 minuti. - Produzione Gran Bretagna 2008. - Distribuzione Eagle Pictures - [Uscita nelle sale venerdì 9 gennaio 2009]
Una campagna inglese di età vittoriana, una pioggia di battute scoppiettanti e sarcastiche e più volte risate di gusto: è questo lo sfondo della commedia del regista Stephen Elliot, tornato alla regia dopo 10 anni di assenza, che adatta alla perfezione la commedia teatrale di Noel Coward, ambientata agli inizi degli anni 30.
Una simpatica commedia all’inglese che si sussegue tra scene caratterizzate dall’alternarsi di colori caldi scanditi dalle sfumature del rosso e colori freddi scanditi da quelli dell’azzuro invernale.
Due generazioni, due culture, la travalica opposizione tra suocera e nuora: Mrs Whittaker e l’americana Larita (Jessica Biel).Un suocero tenero e accomodante (Colin Firth), due figlie gelose e frustate…
La commedia ha inizio con una frizzante corsa in macchina che vede protagonisti l’affacinante Larita (di origini americane) e il giovane marito John (naturalmente inglese). Per i due giovani, tornati dall’estero e giunti nella rigida campagna inglese, popolata dalle singolari figure famiglia di John, inizia la scoppiettante avventura.
Larita incarna una concezione libera e disincantata del mondo, inconcepibile agli occhi della suocera, con la quale fin dall’inizio avrà un rapporto conflittuale pieno di dialoghi vivaci e dall’ironia sottile. Alle battute taglienti del film si aggiungono i grandi classici della musica del tempo (il jazz, il tango e il can can) e diverse canzoni contemporanee che rendono ancor di più gradevole la visione di un film peraltro breve.
Inizilmente la commedia può far ripescare nei menadri nella mente la versione in costume del film anglosassone “Ti presento i miei” ma Stephan Elliott sembra aver posto rimedio a questo grazie ad alcune trovate visive insolite ad esempio l’insistenza sull’uso di specchi e altre superfici riflettenti che possano spezzare la "convenzionalità" del resto del film.
Insomma una commedia di buon gusto che sarebbe un peccato perdersi.
Josephine
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