IL SITO UFFICIALE DELLA PARROCCHIA    
 
   
 
 
a
Personal Page  
   Contattaci          
   Cerca nel Sito Pagina principale Tutte le notizie La nostra famiglia Il passato Informazioni utili  
   
   
     

Il traduttore del silenzio 
14/1/09, 17:53


Autore: DAOUD HARI
Titolo: IL TRADUTTORE DEL SILENZIO
Editore: PIEMME
Anno: 2008

Questo libro è il racconto della guerra nel Darfur, una regione del Sudan, vissuta e narrata in prima persona dall’autore, nato e cresciuto proprio in quella terra martoriata.
Due etnie, quella araba e quella africana indigena degli Zaghawa, che per migliaia di anni avevano vissuto fianco a fianco e pacificamente condividendo religione, tradizioni, e stringendo legami di amicizia fraterna all’interno degli stessi villaggi, si trovano ora istigate all’intolleranza e alla guerra reciproca.
Un “genocidio complesso”, come lo definisce lo stesso autore, in cui, come sempre, sono gli enormi interessi economici (petrolio, acqua) a generare una violenza feroce scatenando fratello contro fratello. Genocidio che si stima abbia già sterminato oltre un milione di persone, uomini, donne e bambini, in modo orribile e sistematico. Senza contare, oltre ai morti, i più di quattro milioni di altre vittime: i profughi nei campi esterni, i profughi interni (quelli che non riescono a lasciare il paese ma che devono vivere spostandosi continuamente per non essere trovati e uccisi), e le vittime degli stupri di massa praticati puntualmente dopo gli attacchi ai villaggi, donne, ragazze e bambine condannate a sopravvivere con la vita e la dignità spezzate per sempre.
In nome della supremazia araba propagandata dalla dittatura, e sotto l’ombra inquietante di Osama Bin Laden e della Cina, si ripete, come in Ruanda, l’incubo dell’olocausto nazista. Le vittime da immolare, questa volta, sono gli Zaghawa.
Il traduttore del silenzio è un libro che parla inevitabilmente di morte e di dolore. Ma anche di speranza.
Vi si trovano colori, sapori, profumi di una vita che, nonostante tutto, trova la forza per andare avanti, e non perde la voglia di veder tornare i campi a rifiorire, i fiumi a scorrere, gli uccelli a cantare.
Daoud, nato in un villaggio dove le case sono capanne di fango con il tetto d’ erba, in seguito ai primi episodi di violenza scoppiati nel villaggio che lo vedono coinvolto in prima persona, viene mandato dal padre a studiare in una città lontana. Farà ritorno solo da adulto, dopo una serie di esperienze drammatiche e giusto in tempo per assistere alla distruzione del mondo in cui è nato e cresciuto, affetti compresi. La lingua inglese imparata a scuola gli si rivelerà allora provvidenziale, salvandogli la vita e permettendogli di salvare quella della sua gente in diverse occasioni.
Andando incontro al suo destino, Daoud diventerà prima guida e poi traduttore per gli ancora troppo pochi giornalisti e esponenti di varie organizzazioni umanitarie internazionali interessati a denunciare al mondo il terribile genocidio, in corso tutt’ora, in Darfur.
L’autore, con scrittura leggera, a tratti quasi infantile, ma proprio per questo ancora più toccante, prende letteralmente per mano il lettore, coinvolgendolo in un dialogo continuo e accompagnandolo, proprio come fa una guida, dalla prima all’ultima pagina. Nel corso di questo lungo viaggio, c’è tutto il tempo per lasciarsi andare ai ricordi, con scene di un’infanzia felice, pur con la fatica del lavoro quotidiano. Felice, perché a stretto contatto con una natura generosa e amichevole.
Seguendo Daoud, si incontrano gli sfollati in fuga dalla distruzione e dall’orrore, anziani e bambini che aspettano senza altra scelta l’attacco imminente e decisivo che li cancellerà insieme al loro villaggio; si entra nelle disastrate tende dei campi profughi e si incontrano tante persone indimenticabili che raccontano la loro storia con l’urgenza di chi sa che sta per morire, con gli sguardi di chi non ha più né forza né lacrime per piangere, con le ultime parole di chi è consapevole che se ci sarà chi avrà la forza di tradurre il silenzio forse anche morire non sarà poi stato del tutto inutile.
L’autore, a causa del suo operato nel tentativo di riscattare il suo popolo, ha visto sterminare la sua gente e ha sfiorato spesso la morte, subendo torture e carcere duro, prima di diventare pochi mesi fa un rifugiato politico in USA. Ciononostante continua a considerare i suoi persecutori arabi come “parte della sua famiglia”, perlopiù una massa di giovani disperati che lui spera di vedere risvegliarsi dal sonno della ragione prodotto dalla dittatura feroce, per comprendere finalmente che “siamo tutti esseri umani, siamo tutti fratelli”.
Il libro termina con un appello, in nome dell’amicizia che inevitabilmente verrà a crearsi tra autore e lettore. Un appello che può e deve essere accolto e rimandato in circolo, in un modo qualsiasi.
E questa recensione vuole essere, in un certo senso, uno di questi “modi qualsiasi”.
Chi ha amato Il cacciatore di aquiloni non potrà fare a meno di amare anche Il traduttore del silenzio e forse anche di comprarne almeno un’altra copia da regalare a qualcuno cui tiene in modo speciale.
Un consiglio per chi non ha chiara la situazione che ha sprofondato il Darfur nella devastazione in cui si trova: iniziare la lettura del libro dall’Appendice di pagina 199.

cioccoSte


Commenti 

Aggiungi commento

Compilare i campi sottostanti per inserire un commento.









Inserisci formattazione testo:


:-) :-P :-( :-o :-| ;-) :-O *

Vedi immagini caricate