20/10/07, 15:27

Note: Traduzione di Martina Testa
Note di Copertina
Un uomo e un bambino viaggiano attraverso le rovine di un mondo ridotto a cenere in direzione dell'oceano, dove forse i raggi raffreddati di un sole ormai livido cederanno un po' di tepore e qualche barlume di vita. Trascinano con sé sulla strada tutto ciò che nel nuovo equilibrio delle cose ha ancora valore: un carrello del supermercato con quel po' di cibo che riescono a rimediare, un telo di plastica per ripararsi dalla pioggia gelida e una pistola con cui difendersi dalle bande di predoni che battono le strade decisi a sopravvivere a ogni costo. E poi il bene più prezioso: se stessi e il loro reciproco amore.
«Guardati intorno, - disse. - Non c'è profeta nella lunga storia della terra a cui questo momento non renda giustizia. Di qualunque forma abbiate parlato, avevate ragione».
Che cosa resta quando non c'è più un dopo perché il dopo è già qui ?
Generazioni di scienziati, mistici e scrittori hanno offerto in risposta le loro visioni di luce e tenebra. Ci hanno prospettato inferni d'acqua e di fuoco e aldilà celesti, fini irrevocabili e nuove nascite, ci hanno variamente affascinato o repulso, rassicurato o atterrito.
Nell'insuperabile creazione mccarthia-na, la post-apocalisse ha il volto realistico di un padre e un figlio in viaggio su un groviglio di strade senza origine e senza meta, dentro una natura ridotta a involucro asciutto, fra le vestigia paurosamente riconoscibili di un mondo svuotato e inutile.
Restano dunque, su questa strada, esseri umani condannati alla sopravvivenza, la loro quotidiana ordalia per soddisfare i bisogni insopprimibili e cancellare gli altri, la furia dell'umanità tradita e i residui, impagabili scampoli di piacere dell'essere vivi; restano i cristalli purissimi del sentimento che lega padre e figlio e delle relazioni che i due intessono fra loro e con gli altri, ridotte all'estrema essenza nella ferocia come nella tenerezza.
E restano le parole, splendide, precise, molto più numerose ormai delle cose che servono a designare; la prodigiosa lingua di McCarthy elevata a canto funebre per «il sacro idioma, privato dei suoi referenti e quindi della sua realtà».
Resta dell'altro, un residuo via via più cospicuo in mezzo al niente circostante: resta un bambino che porta il fuoco e un uomo che lo protegge dalle intemperie del mondo semimorto con implacabile amore, uomo e bambino tradotti in ogni Uomo e ogni Bambino, con responsabilità e ruoli che inglobano e trascendono quelli dei singoli individui. E resta, perciò, uno sguardo discreto in avanti e forse in alto, oltre a quello nostalgico voltato a rimirare il regno dell'uomo cosi come lo conosciamo.
In questa risposta di McCarthy - epica, elegiaca, mitica, profetica, straziante, universale - resta perfino l'imprevedibile: un'affettuosa quotidianità che consola e scalda il cuore.
«Ce la caveremo, vero, papà?
Si. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Si. Perché noi portiamo il fuoco.»
La speranza è qualcosa di infinitamente piccolo e fragile, come un bambino che prendi per mano e accompagni dove la nuda sopravvivenza è già un futuro.
Cormach Mc Carty situa il suo racconto ad apocalisse avvenuta, sulle macerie di una civiltà di cui resta solo una strada da percorrere. Un ipotetico sud da raggiungere, un uomo e un bambino la cui unica ricchezza è la reciproca appartenenza e una strada dove ogni essere umano è prima di tutto un pericolo.
Bello, credibile, asciutto e commovente.



