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Tutte quelle parole 
lunedì, 23 febbraio, 2015, 18:59


L'iconografia di un vecchio barbuto può averci indotto a pensare che Chi abita i cieli debba essere per forza un po' sordo...
Fiumi di parole giungono quotidianamente sulla sua scrivania e si ha sempre l'impressione che sia opportuno specificare meglio il tenore delle nostre suppliche, richieste e invocazioni.
E dire che conosciamo bene questo episodio del Vangelo e ripetiamo con una certa frequenza le parole che Gesù ci ha affidato. Il problema è che abbiamo fatto una formula del Padre Nostro e in più di una circostanza riusciamo a recitarla senza grande partecipazione.
Dovremmo essere realmente presenti e prendere coscienza che troppo spesso iniziamo a dire Padre Nostro e intendiamo Padre mio: quanto sono presenti i fratelli in questa preghiera? Non è che abbiamo la sindrome del figlio unico?
Lo collochiamo nei cieli e spesso vorremmo che non si muovesse da lì per evitare di rimettere in questione il nostro modo di regolare le cose sulla terra.
Pensiamo che santificare il nome di Dio sia solo intessere le sue lodi con la nostra bocca e attendiamo che il regno presente nei cieli si materializzi miracolosamente in terra, dimenticando che noi stessi dovremmo essere segno della sua vicinanza col mondo degli uomini.
Sia fatta la tua volontà in cielo, ma per quanto riguarda la terra, abbiamo sempre più di un emendamento per correggere la sua volontà.
Il pane e il cibo finiscono nei bidoni dell'immondizia e poco importa, se altrove, qualcuno continua ad attendere ciò che è essenziale. Il pane ci sarebbe per tutti, ma la volontà di condividere spesso è latitante.
Siamo convinti che il perdono sia qualcosa di straordinario e non il gesto quotidiano che permette a questo mondo di andare avanti con un minimo di senso. Come può raggiungerci il perdono di Dio se non siamo capaci di spegnere quotidianamente la nostra ostilità e di ritrovare fiducia nel nostro fratello?
La tentazione di arrivare alla fine e di pensare che sia troppo difficile e impegnativo andare oltre la formula, per scoprire di essere liberi dal male ci riporta al punto di partenza.
E così, in troppe occasioni, continuiamo a moltiplicare le parole e ci sembra di aver fatto la nostra parte.
Tutte quelle parole per pregare: meglio sarebbe riconsiderare con attenzione quelle poche parole che potrebbero cambiare davvero la nostra vita.

Un nuovo mondo 
domenica, 22 febbraio, 2015, 17:24


Se non divori avidamente il tuo pane e scegli di spezzarlo e condividerlo con chi ha fame, puoi già sognare un mondo nuovo.
Se consideri il freddo di chi sta tremando e dividi generosamente la tua coperta, il vecchio universo ti sta già abbandonando.
Se chiami per nome lo straniero e lo accogli sino a quando ti diventa familiare, scoprirai di essere meno estraneo anche a te stesso.
Se la semplicità di un bicchiere d'acqua placa la sete di chi ha bussato alla tua porta, l'aridità lascerà i tuoi giorni.
Se farai visita a un malato, sarai tu la medicina che può guarire sia la tua sofferenza che quella del fratello.
Se rinuncerai al facile giudizio e continuerai a rispettare chi ha sbagliato, tornerai incredibilmente ricco dal tuo viaggio.
Perché l'ingresso per il nuovo mondo non è una questione di parole difficili e complicate, ma di gesti concreti che si ripetono ogni giorno.
Perché quel Dio che veneri nell'alto dei cieli, continua a scendere sulla terra e ad assumere il volto e il nome del tuo fratello e del suo bisogno.

Oltre l'apparenza 
venerdì, 20 febbraio, 2015, 18:51


Un mestiere non esattamente tra i più onesti e una buona condizione economica. Certo, c'è anche l'invidia di chi vorrebbe essere al suo posto e il giudizio della comunità che ti esclude con più di una ragione, ma qualcuno va oltre e vede la mano tesa e il desiderio di cambiare, di provare a essere differente...
Qualcuno si espone alle inevitabili critiche e legge la verità di un uomo al di là dell'etichetta che egli stesso si è cucito addosso.
Qualcuno che può rispondere a chiunque tenda la mano per esprimere il proprio bisogno, ma non può fare nulla per chi crede di essere autosufficiente e preferisce puntare l'indice verso il fratello anziché riconoscere il proprio limite.
Si può scegliere di raccontare la propria presunta giustizia o esprimere con onestà e chiarezza la fragilità e il limite.
Per chi opta per questa seconda possibilità, per chi riconosce con umiltà il proprio male, la risposta di Dio, arriverà sempre puntuale.


L'inutile digiuno... 
giovedì, 19 febbraio, 2015, 18:05


L'inutile digiuno salta un pasto e si consuma nella tristezza...
L'inutile digiuno è una rinuncia del corpo che ignora lo spirito: vede quel che ha lasciato, ma non considera quel che avrebbe potuto trovare.
L'inutile digiuno alimenta l'orgoglio e si perde in parole che oscillano tra recriminazione e giudizio.
L'inutile digiuno ti fa sentire migliore degli altri, vede la pagliuzza e sbatte contro la trave.
L'inutile digiuno non comprende quando è tempo di far festa e quando è ora di pensare.
L'inutile digiuno è un atto fine a sè stesso: non può condurre a Dio se non conosce compassione per il fratello.
Quando il digiuno è autentico l'umore non ne risente, il cuore è leggero e quello che davvero resta, è il sorriso profondo di chi ha appena cenato al cospetto di Dio.
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La giusta direzione 
mercoledì, 18 febbraio, 2015, 16:52


Ci vuole un solo istante per perdersi e a volte, una vita intera per potersi ritrovare.
La discesa è invitante e sono tanti quelli che la imboccano senza chiedersi più di tanto, se davvero conduce dove si desidera arrivare.
Per affrontare la salita è necessario alleggerirsi, lasciare a valle tutto ciò che complica inutilmente il cammino senza dimenticare quel che veramente è essenziale.
Quando ti spogli di qualcosa che sembra appartenerti, hai l'impressione di perdere te stesso, ma se consideri le cose quando è passato un po' di tempo, prendi coscienza di essere ancora te stesso.
Abbandonare i movimenti del proprio ego è doloroso; quella voce dentro continua a raccontarti che se vuoi essere veramente te stesso hai bisogno di quell'oggetto, di quel vestito, di quell'opinione, di quel riconoscimento, di quell'approvazione...
Eppure, dopo la fatica iniziale, l'illusione si dissolve e tu sei ancora tu, e ti viene la voglia di accelerare il passo e di continuare.
La giusta direzione non conosce saldi di fine stagione, sconti per addetti ai lavori o scorciatoie per esperti.
La giusta direzione, quella che Gesù chiama croce, ti spoglia un po' alla volta del superfluo e ti rivela il senso di ciò che realmente ha valore nella tua vita.
La giusta direzione è un dolce svetirsi d'ogni apparenza per ritrovare la verità profonda di quel che sarai.


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