venerdì, 27 febbraio, 2015, 17:18
Il nemico è dentro.
E' quell'istante di ostilità che accogli e si trasforma in rifiuto e in negazione.
E' l'ingiusta differenza che tratta alcuni come pari e altri come persone di minore importanza.
E' l'amicizia che si fonda sul comune nemico.
E' la strada che cambi per evitare un possibile incontro.
E' il gesto di pace che concedi solo a coloro con cui sei già in pace.
E' guardare il povero dall'alto in basso.
E' quella strana presunzione che ci fa sentire migliori di altri.
E' pensare che Dio sia costretto a stare dalla nostra parte.
E' volare a pochi centimetri dal suolo illudendosi di essere a chissà quale quota.
Il nemico è dentro.
Se provi a sollevarti un po' da terra, improvvisamente, scopri che il nemico è un possibile amico che continui a guardare da una prospettiva del tutto errata.
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giovedì, 26 febbraio, 2015, 17:56
E' utile saper fare di conto e non ignorare l'aritmetica.
E' buona cosa conoscere le regole che garantiscono una vita civile degna di questo nome.
E' importante cercare di osservare le norme del proprio credo religioso e mettere in pratica quello in cui si crede.
Si può fare tutto questo e illudersi che sia sufficiente, ma sappiamo che esistono tante piccole norme che nessuno ha mai scritto e ogni tanto, fanno capolino nel giardino della nostra coscienza:
- ho dato quel che dovevo, ma questo non m'impedisce di provare a essere
più generoso
- ho la legge dalla mia parte, ma è davvero giusta in questo caso?
- ho ricevuto un'offesa e ho tutte le ragioni di questo mondo per
prendere le distanze, ma non è un peccato perdonare.
Possiamo accontentarci di avere le carte in regola o provare a rimescolarle per dare vita a una giustizia più vera e profonda.
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mercoledì, 25 febbraio, 2015, 19:56
Non basta tendere la mano per chiedere.
Occorre sapere bene di che cosa si ha bisogno e non tutte le nostre richieste vanno nella direzione delle nostre reali necessità.
C'è chi chiede una serpe e muore di sete e non se ne rende neanche conto.
Per chiedere bisogna accettare la fatica di leggere dentro noi stessi, di mettere da parte quel che affiora in superficie per lasciar emergere quello che si agita nel profondo.
L'intenzione di bussare non produce alcun suono, eppure, non sono pochi quelli che pretendono di vedere una porta che si apre magicamente senza neanche fare lo sforzo di suonare un campanello.
Qualcuno bussa con troppa agitazione e finisce con lo spaventare chi sta dall'altra parte.
Troppi bussano alla porta sbagliata e non si accorgono che l'indirizzo non corrisponde.
Chi bussa con buona educazione e sceglie la porta giusta, prima o poi riesce a entrare in una casa accogliente.
C'è chi si avvia a cercare senza aver maturato un po' di pazienza e pretende risultati a breve termine: non è dato a tutti di cadere da cavallo e anche in quel caso: quando è davvero iniziata la ricerca di Paolo?
C'è chi cerca pomodori dove qualcuno ha seminato patate e vorrebbe raccogliere i fagioli da una pianta di fichi.
Cercare, bussare, chiedere senza un minimo di consapevolezza sono atteggiamenti che conducono su binari morti e del tutto impercorribili.
Il primo passo per venirne fuori è una preghiera costante e prolungata...
Se vuoi raggiungere una qualunque destinazione e ti accorgi di brancolare nel buio, aprire una mappa e provare a tracciare un percorso è qualcosa di più di un consiglio.
martedì, 24 febbraio, 2015, 17:51
E' tempo di chiedere qualche segno in meno e di provare a essere noi stessi un'indicazione preziosa per il cammino dei nostri fratelli.
E' tempo di essere meno disattenti e di provare a leggere in profondità gli innumerevoli segni che abbiamo già ricevuto .
E' tempo di prendere coscienza che questa continua richiesta di miracoli non hai poi molto da spartire con un percorso serio di fede.
Una carezza, un fiore, il volo di un passero, un gesto di perdono, un frammento di condivisione, una famiglia, un problema che si risolve...
Tutta la vita è un segno per chi osserva il mondo con uno sguardo di fede e tutta la vita è insignificante, per chi continua a viaggiare restando in superficie.
Prendere coscienza di un singolo respiro, riconoscere la vita che è in noi, riscoprire la gratitudine e la riconoscenza per quanto quotidianamente ci viene affidato...
Il problema non è un segno in più, ma la volontà di capire e il tempo necessario per interpretare.
lunedì, 23 febbraio, 2015, 18:59
L'iconografia di un vecchio barbuto può averci indotto a pensare che Chi abita i cieli debba essere per forza un po' sordo...
Fiumi di parole giungono quotidianamente sulla sua scrivania e si ha sempre l'impressione che sia opportuno specificare meglio il tenore delle nostre suppliche, richieste e invocazioni.
E dire che conosciamo bene questo episodio del Vangelo e ripetiamo con una certa frequenza le parole che Gesù ci ha affidato. Il problema è che abbiamo fatto una formula del Padre Nostro e in più di una circostanza riusciamo a recitarla senza grande partecipazione.
Dovremmo essere realmente presenti e prendere coscienza che troppo spesso iniziamo a dire Padre Nostro e intendiamo Padre mio: quanto sono presenti i fratelli in questa preghiera? Non è che abbiamo la sindrome del figlio unico?
Lo collochiamo nei cieli e spesso vorremmo che non si muovesse da lì per evitare di rimettere in questione il nostro modo di regolare le cose sulla terra.
Pensiamo che santificare il nome di Dio sia solo intessere le sue lodi con la nostra bocca e attendiamo che il regno presente nei cieli si materializzi miracolosamente in terra, dimenticando che noi stessi dovremmo essere segno della sua vicinanza col mondo degli uomini.
Sia fatta la tua volontà in cielo, ma per quanto riguarda la terra, abbiamo sempre più di un emendamento per correggere la sua volontà.
Il pane e il cibo finiscono nei bidoni dell'immondizia e poco importa, se altrove, qualcuno continua ad attendere ciò che è essenziale. Il pane ci sarebbe per tutti, ma la volontà di condividere spesso è latitante.
Siamo convinti che il perdono sia qualcosa di straordinario e non il gesto quotidiano che permette a questo mondo di andare avanti con un minimo di senso. Come può raggiungerci il perdono di Dio se non siamo capaci di spegnere quotidianamente la nostra ostilità e di ritrovare fiducia nel nostro fratello?
La tentazione di arrivare alla fine e di pensare che sia troppo difficile e impegnativo andare oltre la formula, per scoprire di essere liberi dal male ci riporta al punto di partenza.
E così, in troppe occasioni, continuiamo a moltiplicare le parole e ci sembra di aver fatto la nostra parte.
Tutte quelle parole per pregare: meglio sarebbe riconsiderare con attenzione quelle poche parole che potrebbero cambiare davvero la nostra vita.
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