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Sarebbe quasi ora, almeno nelle comunità parrocchiali, di deporre le corna e di riscoprire l’aureola. La salsa di zucche, fantasmi e demoni importata da una realtà che non ci appartiene ha messo nell’angolo la fede e la tradizione di una festa che, almeno per chi crede, dovrebbe avere contenuti differenti e ben altro spessore.
Rinunciare alla propria identità perché lo richiede il mercato e per essere al passo coi tempi è una scelta che stiamo pagando a caro prezzo. Organizzare un carnevale macabro con l’illusione di avvicinare i lontani sta svuotando la celebrazione di Tutti i Santi e la commemorazione dei fedeli defunti di qualsiasi riferimento al senso della vita e della morte cristianamente intesi.
Per chi crede in Gesù Cristo la santità non dovrebbe essere un percorso riservato a supereroi o a uomini straordinari dotati di doni particolari e inaccessibili agli uomini comuni.
La strada delle Beatitudini, per quanto difficile e quasi sempre in salita, è alla portata di qualsiasi uomo che decida di vivere la propria vita in compagnia di un Dio che non sia solo una rassicurazione per quando non esiste altra soluzione.
Non si raggiunge la santità rinunciando alla propria umanità, ma realizzandola in tutte le sue possibilità.
I santi non sono una realtà differente dagli esseri umani e fanno i conti, come tutti noi, con la fragilità, con l’errore e talvolta cadono, ma accettano prontamente la mano di Chi si china dall’alto per rimetterli in posizione eretta.
I nostri defunti, se hanno raggiunto Dio e se stanno condividendo con lui la pienezza della vita, sono ormai santi.
Ogni giorno è una prospettiva di salvezza che passa attraverso i gesti e le parole che dicono la nostra accettazione o il rifiuto della santità.
Certo, alla fine della nostra esistenza, la santità resterà comunque un dono e avremo ancora bisogno di Dio per raggiungere la perfezione, ma quanto è importante, sino a quando siamo in vita e respiriamo, non rinunciare e provare ogni giorno a essere migliori.
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